martedì 1 gennaio 2013

L'ULTIMA FRONTIERA


Questo articolo presuppone la conoscenza di tutta la letteratura sul boxer bianco in italiano e tedesco, l’esperienza di 15 accoppiamenti di razza boxer con un genitore bianco e una campionatura di circa 100 soggetti figli di un boxer bianco.
Per la parte di genetica ci siamo ispirati a un articolo pubblicato 10 anni fa su “Ti presento il cane” e recentemente riproposto on line da Denis Ferretti, che ringraziamo per lo scambio di idee sulla pagina di facebook Boxer Journal. Denis Ferretti è un cinofilo, allevatore di bolognesi, appassionato di genetica del mantello; il suo articolo riguarda la sordità congenita nei cani dal mantello bianco e non è specifico per la razza boxer alla quale lo applichiamo.
In questo intervento discuteremo di teorie, senza la presunzione di introdurre innovazioni sostanziali: entreremo quindi in questioni di natura piuttosto tecnica, cercando di utilizzare un linguaggio, che sia il più possibile divulgativo. Vogliamo fare una premessa di metodo: le teorie sono frutto di esperienze, che cercano di interpretare nel modo più generale; ogni teoria è vera fino a prova contraria e quindi non deve essere confusa con la verità ultima. Pertanto, anche la teoria più accreditata potrebbe essere smentita da nuove evidenze pratiche. Qui introdurremo le teorie che meglio aderiscono ai dati forniti dall’allevamento del boxer oggi. Ma iniziamo..
Nel boxer europeo oggi si ritiene che relativamente alla colorazione del mantello vi siano solo tre possibili combinazioni genetiche:


1.       Boxer interamente colorati, che chiamiamo SS, che hanno entrambi i geni del colore di tipo S; sono chiamati anche “solidi” e si presentano interamente colorati (fulvi o tigrati) o con ridotte macchie bianche.
2.       Boxer colorati con bianco, di tipo SSw: presentano macchie bianche più o meno estese, anche su testa, muso e punta della coda.
3.       Boxer bianchi, di tipo SwSw: sono interamente bianchi o hanno alcune macchie colorate, per esempio sull’orecchio o sulla schiena.
Sembrerebbe invece scomparsa nel boxer quella colorazione chiamata piebald con grandi macchie colorate sulla sella e talora la testa interamente bianca, che era comune nel boxer delle origini e lo è ancora nel bulldog.

Poste queste premesse, gli accoppiamenti generano cuccioli di colorazione prevedibile, secondo queste percentuali medie:
a)      SS per SS =                 100% SS                              
b)      SS per SSw =             50% SS + 50% SSw
c)       SSw per SSW =         50% SSW + 25% SS + 25% SwSw
Attenzione: Queste percentuali sono teoriche e potrebbero non essere rispettate nel singolo accoppiamento.

L’accoppiamento c) è oggi il più comune, in quanto i soggetti di tipo SSw con bianco abbondante sono i più apprezzati in esposizione e gli allevatori tendono a impiegare prevalentemente in allevamento soggetti titolati in esposizioni di bellezza. La conseguenza è che oggi un buon numero di boxer nati negli allevamenti (circa il 25%) è bianco. Ciò non è un grande problema, perché i boxer bianchi sono ormai accettati, apprezzati e richiesti: un tempo soppressi e/o nascosti, oggi ormai quasi tutti i siti anche degli allevamenti più quotati reclamizzano i cuccioli bianchi insieme ai loro fratelli colorati. Per molti tuttavia questa situazione costituisce una spina nel fianco, perché, anche se non è difficile sistemare un cucciolo bianco, i boxer bianchi sono esclusi dall’allevamento e in Italia anche dalle esposizioni, quindi sono un depauperamento per l’allevamento, che li deve collocare come cani difettati, senza possibilità di carriera.
Scopo di questo intervento è anche valutare se questa esclusione sia fondata, sensata, necessaria e almeno utile a qualcuno o qualcosa. Ma un problema alla volta..

 
Ci sono altri tre possibili accoppiamenti relativamente alla colorazione, quando uno dei genitori è bianco:
d)      SwSw per SS             100% SSw
e)      SwSw per SSw         50% SSw + 50% SwSw
f)       SwSw per SwSw      100% SwSw

E’ evidente come da un boxer bianco possano nascere unicamente soggetti a loro volta bianchi o colorati con bianco. Contrariamente a quanti molti pensano, accoppiando un boxer bianco non nascono tutti boxer bianchi: questo è possibile teoricamente solo nel caso f) in cui entrambi i genitori siano bianchi. Nel caso d) addirittura tutti i soggetti sono colorati con bianco cosiddetto da espo, mentre nel caso e)possono nascere sia cuccioli bianchi che colorati. Teoricamente da questo accoppiamento il numero di cuccioli bianchi è superiore rispetto al caso in cui i genitori siano entrambi SSw, ma attenzione.. solo teoricamente: nel singolo accoppiamento accade di vedere un numero di cuccioli bianchi maggiore in accoppiamenti tra boxer entrambi colorati, rispetto a casi in cui un genitore sia addirittura tutto bianco.
Come a tutti è noto i boxer bianchi nati da genitori con pedigree ricevono a loro volta il pedigree: questo pedigree reca un timbro con divieto di riproduzione. Ciò non impatta minimamente con le nostre considerazioni, in quanto questo divieto ha un valore solo attinente al libro genealogico, ossia i figli nati da accoppiamenti con un boxer bianco non otterranno a loro volta il pedigree. Ma le nostre riflessioni sulla genetica del mantello, possono svolgersi con buona pace del divieto dell’enci, la cui inutilità e stupidità sarà dimostrata da quanto segue.


 Ci riferiamo a questo punto all’articolo di Denis Ferretti che segnaliamo:

Numerose leggende sono state riferite a proposito dei boxer bianchi. Era facile sostenerle, quando venivano soppressi appena nati, ma ormai i boxer bianchi fanno parte della normalità di ogni allevamento: sono allevati e venduti e tutti possono vedere come si tratti di boxer a tutti gli effetti, generalmente sani e senza alcun problema. Resta un ultimo sospetto riferito alla cosiddetta sordità congenita legato al mantello bianco. Un cane può essere sordo per molti motivi, ma c’è una particolare sordità di tipo congenito, di cui sono affetti esclusivamente i cani bianchi o pezzati. Per l’assenza tra i boxer di pezzati in senso stretto, parleremo di sordità congenita legata semplicemente al mantello bianco.
Non esistono statistiche recenti sul boxer europeo, che attesti quanto questa patologia sia frequente, ma ora non è importante questo: ci basta che alcuni casi di boxer bianchi sordi sono riferiti e perciò meritano attenzione. Questa osservazione condotta in modo semplicistico ha portato alla credenza che il colore bianco fosse portatore della tara della sordità. Ma è davvero così?

Intanto questa convinzione non è compatibile con due evidenze che la contraddicono.
La prima è che per la razza boxer i bianchi sono tutti figli di boxer colorati. Essendo i boxer bianchi esclusi dalla riproduzione, come potrebbero essere portatori di tare genetiche? E’ evidente che a trasmettere questo tipo di sordità, se di una sordità ereditaria si tratta, non sono i boxer bianchi, ma i colorati. Per ciò non serve scomodare la genetica, basta la logica e in effetti dimostreremo che è proprio così.
La seconda evidenza viene ricavata da studi condotti su altre razze ed è che nelle razze in cui il bianco è un colore non solo ammesso, ma l’unico, non accade che ci siano maggiori problemi di sordità, come ci si dovrebbe aspettare, ma anzi la sordità è meno frequente rispetto a razze pluricromatiche. E allora come la mettiamo?
Le incongruenze dipendono anche da una confusione linguistica tra gli aggettivi congenita e genetica, che hanno un suono simile, ma non lo stesso significato. Genetica significa ereditaria, congenita significa presente dalla nascita (con-genita). Una malattia spesso è sia genetica, che congenita, ma non necessariamente. Alcune patologie possono essere genetiche, ma non manifestarsi dalla nascita; altre, per esempio dovute a traumi del parto, sono congenite, ma non genetiche.
La sordità congenita legata al mantello bianco è sì genetica per tutti i boxer, ma congenita solo nei boxer bianchi. E qui iniziamo a capire qualcosa: questa sordità è presente nei geni anche dei riproduttori fulvi e tigrati, ma solo negli individui bianchi si manifesta come sordità effettiva dalla nascita, cioè il cane non ci sente. Parrebbe che la pigmentazione nella regione della testa funzioni da protezione nei confronti degli effetti della sordità: tutti i cani colorati quindi non soffrono di sordità congenita. Viceversa alcuni boxer bianchi, pur ereditandola da genitori colorati, la manifestano e sono di fatto sordi.
Questa teoria fornisce la spiegazione oggi più accreditata per questo tipo di sordità e calza benissimo con i dati dell’allevamento boxer, in cui, lo ripetiamo, i boxer bianchi non riproducono.
Ma vediamo meglio..


Per convenzione chiamiamo il gene che regola la sordità DF dall’Inglese deafness. Ogni soggetto avrà una coppia di geni DF che potranno essere sani o malati. Per convenzione chiamiamo DF con il maiuscolo il gene nella sua forma sana, df in minuscolo nella forma patologica.
Semplificando, ogni individuo potrà avere un patrimonio genetico compreso tra queste tre varietà:
·         DF DF           sano
·         DF df            portatore sano
·         df df             malato

Il punto è che un soggetto con geni df df con la testa colorata sarà ugualmente senziente. Solo quando un boxer è di tipo SwSw, cioè bianco, e con geni per la sordità sw sw allora sarà di fatto sordo: il cane non ci sente.
Ecco spiegata l’apparente maggiore propensione alla sordità dei boxer bianchi: nei boxer bianchi la tara della sordità è non solo presente nei geni (genotipo), come nei colorati, ma si manifesta anche dalla nascita (fenotipo).
Dal punto di vista degli accoppiamenti rispetto alla sordità si presentano 6 possibili casi con le seguenti percentuali teoriche:

1.       DFDF per DFDF =     100% DFDF                                      sano X sano= 100% sani
2.       DFDF per DFdf =       50% DFDF + 50% DFdf                sano X portatore= 50% sani, 50% portatori
3.       DFDF per dfdf =         100% DFdf                         sano X sordo = 100% portatori

4.       DFdf per DFdf =                 50% DFdf + 25% DFDF + 25% dfdf
5.       DFdf per dfdf =                   50% DFdf + 50% dfdf
6.       dfdf per dfdf =                 100% dfdf

In questi ultimi 3 casi (portatore X portatore; portatore X sordo; sordo X sordo) abbiamo la possibilità di cuccioli malati dal punto di vista della sordità, cioè con patrimonio genetico dfdf con percentuali teoriche del 25, 50, 100%. Il patrimonio genetico sarà distribuito casualmente nella cucciolata a prescindere dai colori, ma i risultati saranno affatto differenti. Infatti, soggetti dfdf, se colorati, ugualmente ci sentiranno e non saranno riconoscibili come cani affetti, diversamente, se bianchi, soggetti dfdf potrebbero manifestare effettivamente sordità.
Gli allevatori di boxer fino ad ora in presenza di uno o più cuccioli con problemi di udito si comportano escludendo i bianchi (tutti i bianchi, non solo quelli sordi) e andando avanti con i genitori o i fratelli colorati, che sono potenzialmente portatori al pari dei loro fratelli bianchi, trasmettendo la sordità alle future generazioni. Ciò non è molto razionale: si esclude l’effetto, non la causa del problema.


Viceversa, l’utilizzo di riproduttori bianchi che cosa comporterebbe? Dipende dall’accoppiamento: 
(si rimanda alla classificazione iniziale)
o   nel caso d) (bianco X solido) abbiamo visto che nascono cuccioli solo colorati con la stessa possibilità di presentare sordità congenita dei figli di colorati, cioè nessuna.
o   Nel caso e) ed f) (bianco X colorato con bianco e bianco X bianco) possono nascere cuccioli bianchi, che hanno le stesse possibilità di essere sordi dei cuccioli bianchi nati da boxer colorati; anzi no, ne hanno di meno, perché:
§  mentre gli allevatori quando accoppiano boxer colorati lo fanno senza avere nessuna cognizione del loro patrimonio genetico rispetto alla sordità congenita,
§  se si usa un riproduttore bianco possiamo avere buone garanzie, che non sia malato, con patrimonio dfdf, perché in questo caso non ci sentirebbe. E, a meno che un selezionatore non sia completamente deficiente, non farà riprodurre un soggetto sordo. Ecco perché l’utilizzo in allevamento di riproduttori bianchi col tempo può diminuire la sordità, perché è possibile riconoscerla e quindi selezionarla.

I riproduttori bianchi quindi non costituiscono un pericolo per l’aumento della sordità genetica, ma un’occasione per ridurne l’incidenza, contrariamente a come si è sempre pensato. Questo deve essere molto duro da recepire per i boxeristi, visto che si sono sempre circondati di convinzioni, prive di fondamento e simmetricamente opposte alla realtà delle cose.

Vediamo quali sono stati i modi con cui l’allevamento del boxer ha storicamente approcciato il problema. Per decenni ha soppresso tutti i bianchi: questo è un metodo immorale, quanto drastico per selezionare le tare; sarebbe come estirpare tutto il grano insieme alle erbacce. Migliaia di cuccioli bianchi sani sono stati uccisi, perché forse qualcuno avrebbe presentato un handicap.
Negli anni ’50 si è cercato di eliminare del tutto il colore bianco con accoppiamenti di tipo a) solido con solido. Questo si è rivelato facile, ma insieme al bianco si è eliminata anche la tipicità.
Successivamente ci si è orientati verso accoppiamenti di tipo b) solido con colorato con bianco. Questo metodo, impedendo la nascita di cuccioli bianchi, risolve indirettamente il problema della sordità, ma è un sistema di corte vedute: non migliora la razza, ma scarica eventuali tare sulle generazioni future.
Oggi in particolare non è più seguito, in quanto – come abbiamo detto – la gran parte degli accoppiamenti sono di tipo c) tra colorati con bianco, dove abbiamo un 25% di cuccioli bianchi, con possibilità di avere qualche sordo, che costituiscono uno scarto, in quanto fuori standard, e un ulteriore 25% di soggetti solidi, che, se non sono proprio uno scarto, oggi hanno possibilità di carriera espositiva e riproduttiva alquanto ridotte. I soggetti solidi non sono più apprezzati in esposizione e sono poco richiesti in riproduzione. Teoricamente hanno davanti una carriera nel lavoro, ma i boxeristi sono poco orientati verso il lavoro. Pensare a una divisione della razza tra una varietà da lavoro e una varietà da esposizione è irrealistico e anche non auspicabile. Di fatto quindi l’attuale sistema è il meno efficiente, perché impiega in allevamento il 50% del patrimonio genetico (quello dei soggetti SwSw) e scarta quasi il restante 50% diviso tra bianchi e solidi.
Alcuni allevatori, prediligendo questo accoppiamento, ma volendo limitare il numero di bianchi in allevamento, si sono convinti che ci siano stalloni più o meno portatori di bianco e vanno in cerca di riproduttori che, pur presentando quelle caratteristiche del mantello (bianco abbondante), che li rende portatori di bianco, non debbano però generare cuccioli bianchi: cioè in pratica una contraddizione in termini. Vorrebbero che degli stalloni fosse reso noto il numero di cuccioli bianchi, in modo da evitare i riproduttori, che “danno” molti bianchi. Questo produce una contro-difesa, per cui i figli bianchi di importanti stalloni vengono nascosti e svenduti, senza pedigree e microchip, per non essere identificabili e riconducibili al padre, compromettendone la carriera. Questi metodi, degni piuttosto della caccia alle streghe, che delle moderne tecniche di allevamento, sono del tutto irrazionali, per non dire ridicoli.

Ma se invece accoppiassimo anche i bianchi? L’introduzione di bianchi consentirebbe di sfruttare il patrimonio genetico della razza a 360 gradi. Unicamente con l’accoppiamento SwSw per SS (cioè bianco per solido) abbiamo la possibilità di far nascere il 100% di cuccioli colorati con bianco da espo, senza alcuno scarto. Nel frattempo i bianchi non sarebbero più scarti e anche i soggetti solidi rientrerebbero in gioco.
Abbiamo visto nei risultati di allevamento, ottenutii da chi ha provato, che i boxer bianchi non portano nessuno degli effetti indesiderati paventati: non nascono cuccioli tutti bianchi, i fulvi e i tigrati figli di bianchi non hanno tutti le palpebre depigmentate, non accade che i boxer divengano buldoggeggianti, come usa dire in gergo, senza però sapere bene cosa si intenda. Morfologicamente i cuccioli figli di un genitore bianco sono perfettamente in tipo e non si differenziano affatto dai cuccioli bianchi o colorati con bianco da espo, che nascono in tutte le cucciolate.
La teoria genetica, che abbiamo proposto, nata per altre razze e nota da tempo, dimostra come l’utilizzo di soggetti bianchi non produca un peggioramento genetico della razza sotto nessun aspetto, anzi può contribuire a selezionare la sordità, migliorando la razza a dispetto dei comuni pregiudizi.
Questa è l’ultima frontiera: mi auguro che i boxeristi si decidano a varcarla. L’esclusione del boxer bianco non giova a nessuno, anzi danneggia la razza, i boxer bianchi, gli allevatori, che devono trattare come scarto, ciò che scarto non è. L’allevamento del boxer rispetto al colore, come è impostato attualmente, è irrazionale e inefficiente. Non rimane che cambiarlo.


 RINGRAZIAMENTI
Questo articolo è il risultato di 4 anni di ricerca e riflessione sulla questione boxer bianco e per me costituisce la sistemazione definitiva del problema.
Mi sento in dovere di ringraziare l’Italian Boxer Club per avermi dato accesso a informazioni, dati, studi e in particolare Stefano Bartolini, che- per la sua esperienza e straordinaria intuizione – ha sempre sostenuto – prima e a prescindere da ogni teoria – che l’esclusione dei bianchi è inutile e dannosa.
Ringrazio inoltre i proprietari di boxer bianchi, che hanno messo a disposizione i dati dei loro cani e in particolare quelli che, in spregio al divieto di riproduzione e sfidando le critiche e l’ostilità suggerite dal pensiero comune, hanno trasformato delle ipotetiche congetture in CERTEZZE.
Silvia Mangano

Nota: per semplicità si è omesso il tema dei modificatori. Per un approfondimento si rimanda all’articolo di Denis Ferretti o a ulteriori interventi sull’argomento.
In estrema sintesi, per la presenza di modificatori, anche nel boxer bianco potrebbe verificarsi (magari per la presenza di macchie colorate sulla testa), che il patrimonio genetico dfdf sia occultato e quindi il cane ci senta (come accade del resto per i fulvi e tigrati) ovvero manifesti sordità in forma parziale, per esempio a un solo orecchio. Questo tipo di sordità potrebbe essere rilevata con esami audiometrici specifici. Ciò, lungi dal costituire un ulteriore insidia, è al contrario una possibilità in più di diagnosticare la sordità ed escluderla nella selezione.
Per la tranquillità di tutti, aggiungiamo che la possibilità di avere cuccioli sordi, anche tra i bianchi, nella razza boxer è alquanto limitata: in pratica la sordità non è una patologia ricorrente della razza. Il motivo per cui si è data tanta rilevanza alla questione qui è che la sospetta sordità costituisce l’ultima motivazione (ovvero l’ultima scusa) addotta contro la riammissione dei boxer bianchi in allevamento.

lunedì 13 febbraio 2012

Boxer Club Italia: il genere mistery sbarca in cinofilia


“Ufficiale (sostantivo): che esercita pubblico ufficio; aggettivo: in forma ufficiale, in qualità di rappresentante di pubblico ufficio”. (Dizionario Nicola Zingarelli)

Questo articolo ha lo scopo di interrogarsi e interrogare, su quanto lo stile di comunicazione del Boxer Club Italia, sia coerente con l’ufficialità, di cui ama pregiarsi.

Prima domanda: è normale che chi svolge un ufficio pubblico affidi i propri comunicati esclusivamente a canali riservati? Che cosa hanno i membri del BCI da sussurrarsi segretamente in una rivista per abbonati, che non possa anche essere dichiarato apertamente on line? Sarebbe come se il Papa, anziché leggere l’Angelus in piazza San Pietro in mondovisione, lo pubblicasse in esclusiva per gli abbonati di Famiglia Cristiana.

Seconda domanda: il famoso BOL (famoso per modo di dire, ma chi può comprenda)

Nella versione precedente del sito del BCI, chi tentava di accedere al BOL incontrava una finestra che chiedeva l’immissione di password. L’alternativa era tra un abbonamento di 20 euro/mese (ah, ah, ah) e l’iscrizione al club per più modica cifra di..boh 40 euro/anno.

Nella versione attuale, se si entra nel Bol, si viene rimandati a una pagina, che contiene fondamentalmente il calendario dei raduni e poche altre cose di nessun interesse. Mentre, se non si inserisce una password rilasciata ai soci, non viene neanche visualizzata l’esistenza di un archivio per la consultazione riservata: HANNO NASCOSTO LA BOTOLA! Ma cos’è? Il codice da Vinci?!

L’accesso al BOL è così ben mascherato, che non lo trovano neanche i Soci! ringrazio la mia abitudine di spulciare i forum per avermi regalato questa perla.

Terza domanda: se il BK pubblica on line a tutto il mondo (non si sbatte a tradurre dal tedesco, ma accontentiamoci), se l’IBC pubblica in Italiano e quando può inglese e tedesco, che cos’ha di così esoterico da proteggere dal comun volgo il Boxer Club Italia? Siete il club ufficiale o una filiale della massoneria?

domenica 9 ottobre 2011

Una foto, un simbolo


Non dimenticherò mai questa foto. Quando portai a casa il mio Manasse nell'estate del 2007 da neofita zelante, mi dotai di un manualetto della razza. Purtroppo, tutte le foto riprendevano boxer amputati. Solo nel capitolo dedicato allo standard (integro dal 2001) la redazione, non sapendo chi prendere, mise la foto di Leonardo di Casa Bartolini.

Siccome anche Manasse è un maschio tigrato scuro con macchie bianche, continuamente andavo a riguardarmi l'immagine per cercar di capire come sarebbe diventato il mio cucciolo. Quella foto, prima e senza immaginare l'amicizia con Stefano Bartolini e la collaborazione con l'Italian Boxer Club (casa Bartolini per me era solo un nome altisonante), è l'inizio della mia storia boxerista.

Non sono esperta di morfologia e non frequento le mostre di bellezza, anche se ho occhi per vedere e sono orgogliosa di avere due bei rappresentanti della loro razza. Nel mio modo di concepire la cinofilia non ha senso considerare un boxer solo da un punto di vista estetico, estraneo a qualunque altra implicazione.

Leonardo non è stato solo un bellissimo boxer, è un simbolo e per questo trova sulla mia bacheca uno spazio che non darò a un altro boxer solo perché bello.

mercoledì 7 settembre 2011

venerdì 8 luglio 2011

Boxer on shows: scenari surreali



Le mie considerazioni prendono spunto da una discussione su un forum per boxeristi. Un ragazzo siciliano ha chiesto con molto buonsenso e un po’ di ingenuità perché non si fa un campionato per boxer bianchi, con tanto di giudizi e titoli.
Sorvoleremo sulle risposte che ha ottenuto, meritevoli di trasformare un isolano in un isolato.
I campionati per boxer bianchi si fanno già: in Germania, in Svizzera e nella Repubblica Ceca (magari anche in altri Paesi di cui non sono a conoscenza). Stiamo parlando di raduni ufficiali organizzati dai Club ufficiali di razza, che ammettono dal 2010 in classe sperimentale anche i boxer bianchi.
Forse la Svizzera non è comoda per un siciliano, ma non lo è molto di più l’Italia Settentrionale, dove si sono tenuti l’ultimo atibox e l’ultimo campionato italiano. Chi ama le esposizioni internazionali deve essere pronto ad affrontare lunghi viaggi e all’ultima jahressieger svizzera hanno partecipato allevatori e proprietari del centro-nord anche con i loro boxer bianchi.
Non si tratta di competizioni a sé stanti dedicate ai soli bianchi, che hanno preso parte al campionato boxer nella sezione dedicata alla loro colorazione, come i fulvi vanno nella propria e lo stesso fanno i tigrati.
Va detto comunque che nella Repubblica Ceca, prima di poter partecipare ai raduni ufficiali, gli estimatori del boxer bianco si erano già organizzati con un raduno per conto loro.
In Italia l’Italian Boxer Club, che è un club di razza non ufficiale, ha sempre ammesso i boxer bianchi nelle proprie manifestazioni, senza distinzione dagli altri colori, almeno dal 2005 e con grande anticipo anche rispetto alla Germania. Ma il Boxer Club Italia che presiede il regolamento dei raduni ufficiali continua a fare lo gnorri e si trincera dietro la scusante che il bianco non è una colorazione in standard.
Ma se li ammette la Germania che ha la facoltà di modificare lo standard, non siamo in diritto di ammetterli anche noi?
Il bianco non è in standard? E Chavall (un cane spagnolo amputato di orecchie e coda) vincitore dell’ultimo Atibox, che si è tenuto proprio in Italia, è per caso in standard? Ogni anno all’atibox assistiamo allo scenario surreale di un vincitore amputato a cui viene consegnata la statuetta, che rappresenta il corretto standard integro. E al campionato italiano ci tocca assistere alla sfilata dei cuccioli russi con orecchie tagliate.
Sto per dire una pazzia: un bianco oggi è più in standard di un fulvo o un tigrato amputato. Infatti, il bianco – probabilmente – entrerà nello standard, ma l’amputato non rientrerà mai più. Il boxer tedesco rimarrà integro. All’atibox invece si giudicano boxer integri, boxer amputati di solo coda, boxer amputati di orecchie e coda. Mi piacerebbe andarci con un cane amputato di orecchie e integro di coda come in foto (seconda scena surreale): sarei curiosa di sapere se un boxer così può essere giudicato.
Quando viene modificato lo standard si presume che valga l’ultimo: in Italia e all’Atibox invece si giudica secondo lo standard di 20 anni fa. Ma allora con queste premesse, io vado in expo con un boxer alto 45 cm, tipo Flocky e pretendo che lo si giudichi secondo lo standard del 1905 (terzo scenario surreale).
Ma questa impuntatura sui boxer bianchi a chi giova? Ci sono raduni periferici che fanno fatica a mettere insieme 4 soggetti da giudicare e qualche iscritto in più non potrebbe che aiutare l’organizzazione. Probabilmente i proprietari di bianchi per la novità risponderebbero con entusiasmo. E, visto che nelle esposizioni ufficiali si giudica sostanzialmente un boxer di fantasia, perché i bianchi no?
Qui mi fermo: intendiamoci io ho grande rispetto per i boxer fulvi e tigrati amputati del passato progenitori dei boxer moderni, come ho grande rispetto per i riproduttori bianchi storici che hanno fatto la razza. Ma appunto questa è la storia: che senso ha impedire lo svolgimento del futuro?

sabato 9 aprile 2011

Per 15 cm di coda in più



Per la ratifica della Convenzione di Strasburgo il ministro alla salute Fazio, per hobby cacciatore, ha ritenuto opportuno diramare una circolare di suggerimenti di natura – secondo lui – tecnica a proposito della amputazione della coda.
In essa si fa riferimento a “cani impegnati in talune attività da lavoro, nonché di natura sportivo-venatoria spesso espletate in zone di fitta vegetazione, che, comportando elevato impegno motorio, espongono l’animale a rischio fratture, ferite o lacerazioni della coda”. Segue la solita baggianata, che, se eseguita in età adulta la caudectomia, sarebbe un intervento più doloroso e invasivo e quindi il taglio preventivo nei cuccioli a pochi giorni di vita viene eseguito nell’interesse del cane stesso.
Mentre l’Enpa (Ente protezione animali), la Lav (lega antivivisezione) e l’Ordine dei Veterinari hanno espresso forti proteste verso il ministro, l’Enci (ente nazionale cinofili italiani) l’ha servilmente recepito. Ma ciò non stupisce in quanto l’Enci è tradizionalmente vicina alle richieste di alcuni club di razze da caccia italiane.
La lobby dei cacciatori aveva minato più volte la strada di ratifica della Convenzione di Strasburgo, riuscendo a ottenerne il rinvio nel 2009 con uno schieramento trasversale, che andava dal PdL a IdV. Nel settembre 2010 riuscì nuovamente a introdursi nei lavori parlamentari, sabotando per la seconda volta la ratifica della Convenzione, grazie all’emendamento di un oscuro senatore leghista l’on. Mazzatorta, tra l’altro sindaco di un paese del bresciano (chi ha orecchi intenda).
Saremmo curiosi di capire cosa stia dietro tale mobilitazione di forze politiche per alcuni centimetri di coda in più o in meno. Siccome non sono pratica di caccia, ho fatto qualche ricerca. Ho pensato che, anche se non si è cacciatori, si può ugualmente fare uso della logica e dell’intelligenza, anzi soprattutto in quanto non si è cacciatori.
E ho trovato..
Un luogo comune è che la coda possa essere di impiccio in certe attività come la caccia al cinghiale dove il cane può ferirsi. Sono andata quindi a vedere le razze più impiegate nella caccia al cinghiale:
http://www.spaziocaccia.it/i-cani-da-cinghiale/16-razze-cani-da-cinghiale.html
- segugio italiano, che ha la coda lunga;
- segugio maremmano (molto simile al primo), che per lo più ha la coda amputata, ma lo standard la ammette anche integra;
- beagle, che ha la coda integra;
- segugio del giura, a coda lunga;
- altri segugi francesi, a coda lunga.
Quindi come la mettiamo? Per la caccia al cinghiale si usano sia cani con la coda lunga, che con la coda tagliata, ma prevalentemente con la coda integra. Come mai allora secondo alcuni bisognerebbe tagliare le code per questo tipo di caccia?
Inoltre, ho visto i raggruppamenti delle razze per ruolo svolto nella caccia:
http://www.ladoppietta.it/cacciacani.html
La gran parte sono cani da ferma:
http://www.ladoppietta.it/cacciacani.html
I cani da ferma anglosassoni sono i setter e i pointer, tutti con la coda;
quelli continentali sono bracchi, grifoni, epagnuel ecc.
Il bracco italiano e il grifone italiano, guarda caso, hanno coda amputata e anche l’epagnuel breton. Il bracco tedesco e molti altri hanno coda tagliata, ma poi vediamo dei bracchi francesi con coda integra, lo Spaniel e il grifone francese a coda lunga. Sono tutti cani da ferma con i medesimi impieghi nella caccia.
In particolare sul setter inglese, forse oggi il più utilizzato, leggiamo: velocissimo, ottimo nella ferma, può cacciare su qualsiasi terreno, molto apprezzato per l’intelligenza, l’iniziativa, la notevole adattabilità. Ha la coda lunga e a nessuno viene in mente di tagliarla.
Sui cani da seguita abbiamo già detto: sono quasi tutte razze a coda lunga.
Forse possiamo fare un’eccezione per i cani da cerca, tra cui eccelle il cocker, molto adatto per le sue piccole dimensioni alla ricerca anche nella fitta boscaglia. Il cocker tradizionalmente è a coda tagliata, peccato che oggi praticamente tutti i cocker siano cani da salotto.
Sicuramente non essendo specializzata in questo settore della cinofilia, avrò scritto magari qualche grossolanità. Ma non credo di essere molto lontana dalla verità, se affermo che la caudectomia preventiva funzionale alle attività sportive-venatorie è una cazzata. Ci dicano che i cacciatori sono delle teste dure, ma sono tanti, fanno voti, soldi e tessere e non si può contrariarli. Ma lasciamo perdere di argomentare in sede tecnica di taglio della coda per il benessere del cane e nell’interesse dell’animale o ci spieghino:
Perché alcune razze hanno la coda lunga e altre corta?
Perché alcune tra le razze più apprezzate, vedi setter, pointer e segugi, hanno la coda lunga e i cacciatori ugualmente le scelgono?
Perché non accade che gli ambulatori veterinari siano invasi da setter con la coda rotta? e anche, ma non vorrei esagerare, perché non si vedono lupi con la coda rotta o anche perché la natura non abbia provveduto di suo a selezionare le code corte naturali nei grandi predatori selvatici, che, felini in testa, hanno code chilometriche?
Ma qui appunto mi fermo. La realtà è che ci sono razze per tradizione a coda lunga o a coda corta e club di razza che ostinatamente difendono l'immagine di razza, che la tradizione gli ha consegnato, molto più di quanto siano preoccupati del benessere dei loro cani. Ciò lo abbiamo visto anche tra i boxeristi e se l'Italia non fosse un paese che vuol far bella figura ratificando la Convenzione di Strasburgo, ma vanificando i suoi effetti con la circolare ad hoc, se non fosse la solita repubblica delle banane dove il divieto di amputazione esce dalla porta, per rientrare dalla finestra, si dovrebbe semplicemente far cambiare musica a questi club (siano cacciatori o no), come è accaduto ai boxeristi vecchia maniera che, pur obtorto collo, hanno dovuto tenersi il boxer con la coda: un cane semplicemente splendido.

lunedì 17 gennaio 2011